Anticamente nella zona di Vione in Valcamonica, nell’alto bresciano, la comunità locale quando l’estate era troppo torrida e soprattutto la siccità non dava tregua, mandava sul monte sovrastante il paese dodici vergini scelte a sorte. Esse si disponevano in processione stringendo delle galle e con un vaso ciascuna: cantando preghiere, le ragazze risalivano i crinali rivolgendosi al Nume (identificato con Santa Paola) che abitava in una pietra con un buco tondo in mezzo.
“Santa Paola mitte nobis pluviam” era la loro implorazione, mentre raccoglievano acqua piovana nei vasi e proseguivano il cammino. Quando giungevano alla pietra la veneravano girandoci attorno e, con somma riverenza, gettavano l’acqua raccolta nel foro.
Subito dopo, si racconta, il cielo si riempiva di nubi spaventevoli, folgori e tuoni, e la pioggia cadeva precipitosamente, spesso procurando grandi danni al territorio.
Nel “Catalogo dei Rettori Maestri delle Accademie”, raccontando questa storia, si narra che nel 1624 il rettore-maestro delle Accademie comunali don Stefano Camadini, eseguì un ordine giunto dall’arcivescovo Carlo Borromeo: il sacerdote utilizzando una mazza di ferro, alla presenza di una numerosa folla compresi i consoli, mandò in frantumi “quella diabolica e superstiziosa pietra, in mezzo della quale vi stava un buco tondo”.
Come riportano le cronache, anche don Camadini aveva comunque partecipato personalmente ai misteriosi riti svolti attorno alla pietra.
aggiornamento: Recentemente l’artista Ozmo ha dedicato il suo “Wall in art 2017” a Vione proprio ai riti svolti attorno a questa pietra forata.
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